Elvira Lamanna
“Il respiro della Terra. Our Home Is On Fire “
Nei vetrini (circa 100), i micro-pianeti, o micro-ecosistemi di Federica Scoppa sembrano riflettere lo status, il destino e il futuro della nostra Terra, scandendo diverse fasi, come quella in cui mari sconvolti si trasformano in acque rosse, surriscaldate, tossiche, ed emergono con forza quasi volessero esplodere (o implodere).
Per riflettere sullo status del pianeta, è l’uomo-capitale a continuare a inquinare oceani, distruggere foreste e causare, direttamente o indirettamente, che la Terra sia in fiamme. La Terra in fiamme appare, nei vetrini, sconvolta dai cambiamenti climatici della nostra epoca e sembra cambiare tanto velocemente da apparire irriconoscibile, percorsa da mutamenti forti e ben tracciati da colori sgargianti e luminosi, che rivelano una velocità che li rende repentini, volubili, imprevedibili.
La nostra Terra è in fiamme.
L’era che stiamo vivendo da alcuni decenni viene internazionalmente chiamata Antropocene o Capitalocene, proprio perché è l’uomo-capitale ad aver determinato l’inizio di una nuova epoca geologica e ad avere alterato la vita, i ritmi e gli ecosistemi sulla Terra.
L’era delle fiamme potrebbe – dovrebbe – comportare una presa di coscienza collettiva, una rivolta mondiale, proprio contro l’uomo-capitale che si considera l’artefice principale e indiscusso, il “proprietario”, del destino del pianeta, dimentico degli equilibri delicati degli ecosistemi e della necessità di salvaguardare la biodiversità, imponendo, di contro, monoculture e allevamenti intensivi. L’obiettivo dell’uomo-capitale non è infatti aiutare gli altri esseri viventi o proteggere il pianeta stesso, che è pur sempre la sua casa e la casa di tutti gli esseri che lo vivono e lo vivranno; l’obiettivo è “soddisfare”, “consumare”, “fare profitto”, facendosi spazio oltre misura, popolando all’eccesso il Pianeta, sottraendo terreno, foreste ed habitat naturali a chi abita il Pianeta insieme a noi.
L’abbiamo compreso bene durante la pandemia del coronavirus, così come lo ha mostrato Federica Scoppa con la sua arte capace di restituirci il turbamento per la condizione nuova di isolamento sociale che ha sconvolto le nostre vite e scatenato un cambiamento significativo nell’aria e nel respiro stesso della Terra. Durante l’epidemia, per dare un esempio, solo sull’Europa, l’inquinamento da biossido di azoto si è ridotto del 30-40%, come mostrano le immagini dei satelliti. La Terra sembra stia riprendendo a respirare di nuovo. Nei vetrini, il respiro della Terra si avverte nei movimenti di tanti piccoli atomi, quasi in volo: ce n’è uno dove ci si perde in un blu intenso, di cielo o di mare, gli atomi si muovono, sembrano avere vita autonoma e liberare una nuova energia.
Secondo il buddismo, il tutto, che per il nostro esempio è la Terra, è composto da parti (gli atomi), interdipendenti tra loro (“siamo tutti connessi”, dice anche l’artista), ognuna delle quali riveste un significato dato da cause e condizioni, imposto però oggi dall’essere umano. Nella filosofia buddista, il tutto è sempre costituito dalle sue tante e piccole parti e non è possibile trasformarlo senza trasformare le sue parti. Il potere di trasformazione è, quindi, in ogni piccola parte, in ogni atomo, azione, pensiero; per ridare respiro vitale alla Terra la trasformazione delle parti è possibile solo con una responsabilità condivisa di “non priorità”, alla Arendt.
Trovo interessante citare l’idea di Hannah Arendt che parla di “carattere non-scelto di convivenza terrena”[1]. Per Arendt, il carattere non-scelto della nostra pluralità e quindi diversità e non-priorità di nessun essere su un altro è la condizione stessa della nostra esistenza come esseri umani. Poiché non possiamo scegliere coloro con cui condividere lo spazio comune della Terra, abbiamo una responsabilità etica globale non solo verso un’uguaglianza plurale di tutti gli esseri umani – e aggiungerei viventi – ma anche di proteggere la Terra nel suo complesso.
La Terra è madre, la Terra è casa, per tutti gli esseri viventi, interdipendenti gli uni con gli altri, molti dei quali purtroppo già scomparsi a causa della distruzione e dello sfruttamento agito dal sistema capitalistico imposto dall’uomo alla natura. Gli esseri naturali, come fiori e piante, vibrano nelle micro-Terre di Scoppa, spesso in forme giganti, quasi a significare da un lato l’importanza che rivestono, in quanto indispensabili per la sopravvivenza umana, e dall’altro il loro essere silenziosi, la loro fragilità, tanto da sembrare a volte sul punto di sfaldarsi. Acquisendo forme enormi rispetto al micro-pianeta che li ospita, la loro importanza è nel donare e portare avanti la vita.
Colpisce, infatti, il contrasto tra la dimensione della Terra, così piccola (15×15 cm), un minuscolo puntino nell’universo, e il ruolo che esercitano gli esseri viventi, enormi rispetto al micro-pianeta. Gli esseri naturali rimangono paradossalmente quasi invisibili nella visione umana ma sono rappresentati nei vetrini grandi quanto un continente; sembrano quindi capovolgere una visione autoreferenziale e individualistica dell’essere umano e ricevere, finalmente, il posto, la riconoscenza e la protezione che meritano.
Molto attuale rispetto all’importanza di tutti gli esseri viventi e a “come sopravvivere su un pianeta infetto” (da un titolo di un suo recente libro), la posizione dell’ecologista, multispecista e femminista Donna Haraway ci conduce per mano al di là dell’individualismo e dell’autoreferenzialità umana, anche nel linguaggio. La filosofa parla di pensiero tentacolare[2] e preferisce riferirsi alla nostra epoca non con il termine più diffuso, Antropocene, ma con la parola Chthulucene[3], in quanto, secondo lei, fa comprendere in maniera più chiara l’era in cui viviamo. Un’era in cui nella multispecie che abita la Terra, l’umano e l’altro dall’umano[4] sono legati in pratiche tentacolari, tessendo fili imprevedibili e complessi. Il Chthulucene, sostiene Haraway, richiede un “thinking with”, “con-pensare”, “make-with”, “fare con” piuttosto che “self-making”, ovvero “fare per sé”.
La condivisa “responso-abilità” citata più volte nel testo – con il cambiamento significativo della parola in “capacità di risposta” per far fronte alle urgenze – di tutti gli esseri, del loro vivere e morire bene insieme su una Terra in fiamme, sarebbe il pensiero più appropriato per aiutarci a trovare i mezzi per futuri più vivibili per il pianeta. Le tante piccole micro-Terre di Federica esprimono una speranza affinché questi futuri, tracciati da minuscoli atomi in azione, si possano compiere, così come ci propone Haraway: “con-diveniamo insieme, gli uni con gli altri, o non diveniamo affatto”[5].
[1] Trad. a cura dell’autrice; la citazione di Arendt è tratta dal libro di Judith Butler, Notes toward a performative theory of assembly, Harvard University Press, Cambridge Massachusetts 2015. Per un approfondimento, le concezioni esistenziali citate sono contenute nel libro di Arendt,The human condition, Doubleday Anchor Books, New York 1959.
[2] “La parola «tentacolo» deriva dal latino tentaculum, che significa «strumento per tastare», e da tentare, che significa invece «sentire», «tentare», appunto”. Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto. Produzioni Nero, Roma 2019, p. 94.
Come spiega ancora Haraway: “La tentacolarità è una vita vissuta lungo le linee – tantissime linee – e non nei punti, non nelle sfere”. Ivi, p. 96.
[3] “È composta da due radici greche (khthôn e kainos) che insieme definiscono una tipologia di tempo-spazio utile per imparare a restare a contatto con il vivere e il morire in forma responso-abile su una Terra danneggiata e ferita”, ivi, p. 18.
[4] “Gli abitanti del mondo, creature di ogni tipo, umane e non-umane, sono viandanti; le generazioni sono come una serie di sentieri intrecciati”. Citazione di T. Ingold, Lines, Routledge 2016, pp. 116-119, contenuta in D. Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto.
[5] Ivi, p. 28.