Elisabetta La Rosa
La redazione di Artwave incontra Federica Scoppa, artista italo-tedesca, incredibile narratrice e pittrice contemporanea. La sua arte rivisita il mondo circostante, caricandosi di temi come il femminicidio e la visione e introspezione dell’individuo, un mondo pieno di forma e colore
di Elisabetta La Rosa – 31.08.2019
La redazione di Artwave ha avuto il piacere di conoscere ed intervistare Federica Scoppa, artista italo-tedesca presente all’interno del panorama artistico contemporaneo. Federica nasce e cresce a Roma, inizia gli studi di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma, continuando il suo percorso accademico presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia; la pittrice si considera il narratore onnisciente dalle sue opere: per lei l’artista è come l’aria si deve percepire ma non deve farsi vedere in quanto non è lui il soggetto da osservare.
Com’è nata la tua vocazione per l’arte?
È una passione che ho sempre avuto, l’arte mi accompagna sin dalla nascita: a sei anni ho scritto una lettera a Babbo Natale chiedendogli di portare dei pennelli. Ad otto anni usavo i lenzuoli vecchi di mia madre come tela; successivamente ho partecipato ai 1000 bambini di Via Margutta. Alle superiori, durante le ore di matematica, disegnavo. Ho sempre avuto il piacere di disegnare e di fare arte. Successivamente, seguendo le tradizioni di famiglia, ho provato a studiare economia, ho studiato anche le lingue dedicando anche dieci anni ai viaggi, ma la pittura è sempre rimasta latente “come un granello di sabbia nell’occhio”.
Infine ho iniziato a frequentare l’Accademia delle Belle Arti di Roma, dove sono stata allieva di Giuseppe Modica, ed è proprio da lui che ha preso vita l’idea della finestra. Successivamente mi sono trasferita a Venezia dove ho concluso l’Accademia laureandomi con una tesi su Gherad Richter.
Uno dei punti cardini del tuo pensiero artistico è l’attenzione verso la condizione delle donne. Come si è sviluppato questo interesse?
È iniziato tutto grazie a mia sorella, Cristiana Scoppa, giornalista che per dieci anni ha lavorato per “Noi donne”, giornale fondato negli anni 30 che tratta di attivismo femminista, successivamente ha lavorato con l’Associazione contro le mutilazioni dei genitali femminili. Oggi si occupa dell’ufficio stampa per l’associazione “Donne in rete”. In famiglia si è sempre parlato di femminismo e della dell’essere una donna che vive in una società misogina, dove devi faticare il triplo in diversi ambiti dal privato al professionale: basti pensare agli scandali universitari o il “problema” lavoro/famiglia nel caso della nascita di un figlio.
Quali emozioni vorresti trasmettere mediante le tue opere?
Non desidero trasmettere emozioni, piuttosto desidero indurre chi guarda ad una riflessione. Nelle opere della serie dei Cactus, ad esempio, nasce nel 2012 a seguito di una riflessione sul tema del femminicidio con l’idea di fare un quadro che desse quel messaggio senza voler essere esplicita, ho quindi scoperto che nell’800 si parlava alle donne con i fiori ai quali veniva associato un significato che il pittore voleva trasmettere mediante il quadro. Il Cactus era il simbolo dell’amore passionale e, inizialmente, per me rappresentava il maschile, la difficile interconnessione fra uomo e donna, la cui figura la rappresentavo in trasparenza nelle mie opere.
Richiamando il mio Cactus della mostra “Intrecci”- attualmente in corso presso la galleria Art Saloon d Ariccia – il mio intento era quello di simboleggiare l’occhio dove all’interno vediamo la donna che, come una spina, induce l’uomo a volerla possedere arrivando, come sentiamo dai fatti di cronaca, a picchiarla e ucciderla. Con il passare del tempo queste donne, nelle mie opere, si sono volatilizzate come le farfalle ed è rimasto il Cactus, tra l’altro molto apprezzato dalle donne e, per me, è simbolo di una riflessione. Mi chiedo, infatti, perchè nelle scuole non si educa al rispetto del rapporto con il prossimo?
E la finestra invece?
Le finestre nascono nel 2003 con Giuseppe Modica che chiese a tutti gli alunni di rappresentare la finestra come riflessione sulle diverse percezioni del mondo circostante, che cambia a seconda di diversi fattori:la nostra fisicità, ad esempio, ci fa percepire il mondo in maniera diversa, la finestra è anche la rappresentazione del nostro Io, la nostra sensibilità. Come Monet che rappresentava la Cattedrale di Rouen in diversi orari, così anche la mia percezione della mia finestra differisce a seconda dei diversi stati d’animo. Le finestre sono quindi una riflessione su come noi vediamo il mondo ed anche su come noi ci poniamo nei confronti del mondo, guardare fuori dalla finestra riflettendo su ciò che c’è fuori che può essere anche sgradevole.
Ci sono stati degli artisti che, durante la tua carriera, ti hanno ispirato?
L’artista che io vorrei essere è Gherard Richter, un genio, uomo di grande intelligenza e profondità . Lui dice “non voglio dire niente eppure lo dico”, ovvero dicendo che non voglio dire ti sto dando un messaggio molto importante, un modo di comunicare, questo, molto interessante. Nasce nel 1930 e si laurea a Dresda presso l’Accademia delle Belle Arti. Poco prima che venne alzato il muro di Berlino si trasferisce a Düsseldorf dove si rende conto che in quel momento era l’avamposto delle neoavanguardie che nascevano sul filone proveniente dall’America. Richter lavora a Düsseldorf su questi filoni affermando, riferendosi a quel periodo “ero assetato di sperimentare tutto e avevo sete di tutto” quindi lavora sulla performance e sull’astrazione usando materiali come specchio e vetro, cavalcando tutti i filoni portati dall’America , compresa la Pop Art. Durante la sua attività artistica spesso iniziava, smetteva e riprendeva l’opera, come la vetrata nel Duomo di Colonia che concluse nel 2007.
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